2. L’architettura romanica in Sardegna

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La diffusione dell’architettura romanica in Sardegna fu un processo lento e graduale del quale i più eloquenti testimoni si hanno nell’edilizia religiosa.

Tale percorso coincise sostanzialmente con l’epoca giudicale (secoli IX-XV) e si snodò pertanto quando l’Isola era politicamente suddivida in quattro regni autonomi (Cagliari, Arborea, Torres, Gallura), ciascuno dei quali governato da un Giudice.

Agli inizi di questo periodo, chiusasi la fase bizantina, la Sardegna si riavvicinò a Roma e dunque al papato e ciò favorì una massiccia colonizzazione monastica che si tradusse in un fiorire di nuove abbazie e priorati con la costruzione delle relative chiese monastiche o con la ristrutturazione di quelle, già esistenti, che furono donate ai monaci dai Giudici.

Al contempo, anche a causa delle frequenti incursioni delle marinerie arabe, si andava ridisegnando la geografia delle antiche diocesi sarde con la traslazione verso l’interno di importanti sedi vescovili litoranee e con la conseguente edificazione di nuove grandi cattedrali.

Questi diversi cantieri di edilizia religiosa non poterono prescindere dalla contemporanea situazione culturale che si era determinata nell’Isola a seguito della stipula di alleanze militari, politiche e commerciali tra i regni sardi e le repubbliche marinare di Genova e di Pisa.

Per sdebitarsi dell’aiuto che soprattutto i Pisani diedero ai Sardi nella lotta contro gli arabi, i Giudici di Sardegna concessero ai mercanti della Repubblica dell’Arno ampie esenzioni fiscali e gli operatori commerciali della Penisola poterono stabilirsi in diverse località promuovendo la rinascita di antichi borghi e la fondazione di nuovi centri nei quali non potevano mancare appositi luoghi di culto.

Si andò così delineando nell’Isola un’architettura sacra che, in molti casi, fece proprio quel costante riferimento all’antico tipico del romanico fiorentino e soprattutto di quello pisano.

In quest’ultimo, pur non mancando richiami esotici, era infatti forte la tradizione di matrice classica che si traduceva soprattutto nella difesa di un vocabolario architettonico di tipo tardoantico.

Per queste ragioni si riscontrano in Sardegna diverse maniere costruttive riferibili al romanico. La più antica di queste si può ricondurre ai monaci benedettini ed in particolare a quelli che giunsero in Sardegna dal monastero di San Vittore in Marsiglia.

Essi introdussero nella Sardegna meridionale quel modo provenzale che caratterizzò gli ampliamenti strutturali di quegli antichi edifici che ebbero per primi in concessione ossia il San Saturno di Cagliari e il Sant’Antioco nell’omonimo centro, e ovviamente quelli che costruirono dal nulla e nei quali antico e moderno, classico e barbarico, colto ed incolto si aggrovigliano in nodi fermi ed inestricabili.

Eloquenti testimoni di questa maniera provenzale che i monaci seppero abilmente innestare nella tradizione costruttiva locale sono la chiesa di Sant’Efisio di Nora, di San Pietro di Cagliari, di San Platano a Villaspeciosa e, più tardi, di Santa Maria di Uta.

Si tratta per lo più di edifici di scala ridotta, di piccoli scrigni custodi di preziose memorie, nei quali operarono maestranze con sensibilità stilistiche e culturali comunque differenti che guardavano talvolta a modelli francesi e talaltra a esempi toscani.

Ben più ampia scala ebbero invece alcune splendide chiese del nord Sardegna come, per esempio, quella di San Gavino a Porto Torres nella quale convivono gusto pisano e gusto lombardo. Un gusto lombardo che si riscontra anche nel San Simplicio di Olbia.

Il loro schema a tre navate con un’unica abside si rileva anche nella chiesa di Santa Maria di Ardara, sorta come cappella palatina intorno al 1100 e impostasi come modello di riferimento architettonico per la costruzione di numerose altre chiese come quella di San Pietro di Bosa, di San Nicola di Trullas (presso Semestene) e di San Pietro del Crocifisso a Bulzi.

A maestranze di formazione pisana si deve poi la costruzione della cattedrale di Santa Giusta che ispirò i costruttori della chiesa di San Paolo di Milis e della cattedrale di Bisarcio, ma anche la chiesa di Santa Maria di Bonarcado e il San Nicola di Ottana.

Così, a metà del secolo XII, i modelli pisani si radicarono in tutta l’Isola dove pertanto si trovano esempi architettonici in cui la copertura della navata centrale non abbracciò sempre il sistema delle volte in pietra ma mantenne quello delle travature lignee o uno misto.

Ciò non richiese la presenza di pilastri ed evitò la tipica scansione romanica dell’aula in campate mantenendo così all’interno una spazialità basilicale, con la navata principale che giunge rapida all’altare maggiore. L’importazione del modello pisano comportò poi, nel 1160, la diffusione nell’Isola di quel particolare e suggestivo motivo decorativo fondato sul gioco dell’alternanza del bianco e del nero ottenuto con l’appariscente avvicendarsi di liste orizzontali di pietre chiare e pietre scure che può pertanto considerarsi come uno dei tratti salienti del romanico isolano.

Un romanico che, aprendosi alle varianti pistoiesi e soprattutto lucchesi, sperimentò l’aggiunta di motivi figurativi, scolpiti o intarsiati, mitologici, vegetali, zoomorfi o di natura astratta, in un preziosissimo trionfo di particolari che, per certi versi, tende a reinterpretare il modello pisano in chiave più coloristica.

Questa tipologia si diffuse in Sardegna nella seconda metà del secolo XII ed ebbe particolare fortuna nei territori del Giudicato di Torres dove si costruirono l’abbazia della Santissima Trinità di Saccargia (Codrongianus), la cattedrale di San Pietro di Sorres (Borutta) e la chiesa di San Pietro a Bulzi.

In seguito alla caduta del Giudicato di Cagliari (1258) le maestranze che avevano operato nella Sardegna centro-settentrionale si irradiarono anche nel sud dell’Isola dove lavorarono alla ricostruzione della cattedrale di San Pantaleo di Dolianova che a sua volta fu modello per molte piccole chiese che sorsero nel meridione sardo nelle quali si possono cogliere i primi dettagli ornamentali della transizione dal romanico al gotico.

Una transizione di lunga durata che in qualche modo fu favorita dall’arrivo dei francescani nell’Isola i quali si fecero, infatti, portatori dei nuovi modelli italiani che rimasero a lungo vitali nell’Isola.

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